Elevator

Elevator – Autoritratti

Abito all’unidcesimo piano di un palazzone anonimo. Il viaggio in ascensore dura un tempo lunghissimo, per l’esattezza 67 secondi. Al mattino presto, uscendo, mi guardo allo specchio dell’ascensore, controllo cose come l’espressione degli occhi e finisco di vestirmi, abbottonando un polsino o sistemando la sciarpa. A sera, rientrando, l’espressione è stanca ma forse più dolce del mattino.
L’ascensore è comunque un luogo in cui il tempo e con lui il corpo e la mente si fermano. A volte l’ascensore arriva troppo presto a destinazione: “già finita?”, chiedo dispiaciuto.
Oppure mi sembra non arrivare mai.
Ma lui, l’ascensore non scende mai a patti con me e fa di testa propria e quando ha deciso che è il momento, come un maggiordomo impeccabile mi spalanca le porte e così facendo mi fa sentire obbligato ad uscire sulla scena del mondo. Eppure quel viaggio lungo e breve allo stesso tempo è importante ed all’improvviso si aprono delle sensazioni particolari: i timori e forse anche i piaceri del claustrum. Il viaggio di suo è sempre uguale, senza scrolloni, sia in discesa che in salita. È raramente sorprendente: per esempio quando scopri che c’è una mosca che è entrata nell’ascensore e poi la ritrovi ore dopo sempre lì a volare.
L’ascensore ha in realtà anche le sue tentazioni: il pulsante giallo dell’allarme e ancora più quello rosso dell’alt.

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Elevator – Self portraits

I live on the eleventh floor of an ordinary block of flats. My ride on the lift lasts forever, 67 seconds to be precise. Early in the morning, on going out, I look at myself in the mirror of the lift, I check details like the expression of my eyes and finish getting dressed by buttoning a cuff or arranging my scarf. In the evening, when I am back home, my expression is tired but maybe sweeter than in the morning.
In my case, the lift is a place where time stops together with the mind and the body. Sometimes the lift reaches its destination too soon: “is it already over?” I wonder, disappointed.
On other occasions it seems to take too long to reach.
But the lift never comes to terms with me and does as it thinks fit, so when it decides it’s the right time it throws the doors open, like an impeccable butler, and by doing so makes me feel obliged to make my entry on the stage of the world. In any case, this ride, long and short at the same time, is important and raises in me some particular feelings: the fear and maybe also the pleasure of a closed space, a claustrum. The ride in itself is always the same, with no shakings, both upwards and downwards. On rare occasions it is surprising, as for instance when you discover that a fly that had gotten into the lift is still flying there hours later.
In actual fact the lift has its temptations: the yellow button of the alarm and, even more, the red stop button.

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